Dall’autobiografia di Carmelo Mendola

...Il mio proposito era quello di cogliere e tradurre il Pathos della narrativa Verghiana sintetizzandolo nel tema dei Vinti, compito arduo e difficile, né alcune articolazioni funzionali dell’elaborato potevano essere risolte in breve, senza una profonda e meditata organizzazione tecnica, per la quale sapevo di non avere una sufficiente preparazione...

...In un’opera di tali dimensioni e in questo mio particolare stile, ogni linea se non coordinata con purezza con altre linee, ora convergenti ora divergenti, se queste non seguono quella giusta traiettoria che solo un occhio estremamente uso ad un controllo esatto può fare, risulterà tutto disorganico. Questo lavoro dovrà essere eseguito con rigida disciplina, con un calcolo matematico, risolto con la più esatta formula, altrimenti potrebbe determinarsi una sgradevolezza che striderebbe, offendendo la sensibilità dello spettatore. Accadrebbe come uno strazio, provocato da una nota sfuggente alle regole dell’armonia e del contrappunto, una macchia nera su di un vestito bianco, l’abbaiare di un cane durante l’esecuzione di una partitura melodica...

...Smontai e rimontai varie volte in cerca delle giuste posizioni i due Malavoglia: personaggi dominanti ed essenziali le cui teste le avevo già programmate nei momenti più felici della mia ispirazione. Avevo inseguito nella mia fantasia le sembianze espressive dei due volti, ne avevo sofferto il loro intimo dramma, mi ero inserito nella loro anima; tormentai febbrilmente la creta, cercando di mettere in sintonia con la capacità esecutiva delle mie mani le immagini che vedevo agitarsi nella mia intima visione. La fiamma bruciava crepitando furiosa. I lineamenti mobilissimi si distinsero via via più puliti, più incisi; Ntoni mi gridava nel cuore, implorava, imprecava con le narici vibranti e la bocca contratta e distorta in una smorfia stupenda, nell’espressione più viva del suo stato d’animo. Sentii uscire dalla sua gola il fiato caldo della disperazione, misto al sapore della salsedine polverizzata dalla furia del vento. Ho sentito lo schianto dell’albero della “Provvidenza” che si è abbattuto sulla testa del vecchio, e ho visto il suo volto stordito con gli occhi ebeti, stralunati, fissi nel vuoto, mentre una mano istintivamente si aggrappava al bordo della barca e l’altra tesa in avanti, ma senza forza, veniva lambita dalle onde travolgenti. Guardandoli, a lavoro finito, chiedo se io non abbia vissuto con loro, nella barca, il loro dramma nell’infuriare della tempesta...